Colori

To my wife

I colori ti ricoprono mentre dormi

Solo quelli indossi

… e il mio sguardo che ti accarezza

Per non rompere quest’attimo magico

Io non oso sfiorarti

Le bellezza silenziosa si è fatta cristallo

In questo respiro sospeso

Il mondo si è arreso a noi due amanti

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Shadow, un’ombra

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Ci sono delle volte in cui lo vedo ancora vagare lungo i vicoli spenti della vecchia città. Non piove più, ma il cielo è ancora plumbeo. Pezzi di cornicione si staccano dalle facciate dei palazzi che non cura più nessuno. I mega-schermi della pubblicità e della realTV non abbagliano più con le loro luci. Anche i locali hanno chiuso le porte e l’insegna dell’Ultimo Paradiso giace disfatta coperta da altre macerie urbane e frammenti di ricordi.

Si è lasciato crescere i capelli, e la barba mimetizza le cicatrici del tempo che solcano il suo viso. Cammina lento strascicando i piedi. A volte, incerto, rimane sospeso a metà di un passo.

E guidare a fari spenti

Nella notte per vedere

Se poi è così difficile morire ….

Tu chiamale se vuoi

Emozioni …

Ormai la sua essenza ha raggiunto ciò che un tempo dichiarava nel nome. E’ andato anche oltre. Oltre se stesso, sfidando la marea del tempo che ancora lo trattiene qui. Oltre il tempo che lo aveva chiuso in un angolo dimenticandolo, sfidando la Luna che si nasconde impotente. E mi domando allora se fu finzione, un inganno della mente, quella volta che mi convinsi di averlo visto acchiappare un raggio argentato e salire fin lassù.

Già! … I ricordi … I ricordi sono solo il costrutto di una mente contorta, si adagiano sul tempo trascorso mutandone la forma. Come le aspettative su un futuro che non verrà mai.

Shadow era il nome con cui si faceva chiamare, l’ombra oscura che scivola contro i muri. Ora quei muri si sgretolano poco a poco … e nome ed uomo si sono congiunti, fondendosi, tanto che non si distingue più l’uno dall’altro.

E’ tornato a camminare in quella stessa città che lo vide vivo, vivo e in esilio da se stesso. Che lo vide relegato nella notte, eppure profondamente legato a quella che allora chiamava Vita.

Ogni scelta prevede quantomeno una biforcazione, uno sdoppiarsi delle realtà possibili. Affinché la propria realtà prevalga bisogna agire, imporsi, lasciare il segno. Altrimenti, inevitabilmente, si verrà sopraffatti, finendo nell’oblio, nel nulla. E Shadow era sopravvissuto. Scivolando di ombra in ombra, abbattendo uno ad uno tutti gli antagonisti. Solo il ricordo non poteva scacciare, e lo rodeva da dentro, come fa un tarlo con un vecchio pezzo di legno, nodoso e scricchiolante. Ma anche come fanno le termiti con i rami di eucalipto, donando ad un popolo antico ed immutato uno strumento con cui evocare il mondo ad ogni risveglio, con cui cantare l’intera esistenza.

Era sopravvissuto alla tempesta, al vento del tempo che aveva soffiato via tutto il resto … E dopo era giunto il silenzio. Il vuoto. Quella sensazione che attanaglia lo stomaco e ti tiene sospeso come una piccola sfera umida e fredda, isolato, mentre tutto intorno si fa buio. E non sa nemmeno lui se fu per forza o per viltà che non si era lasciato andare. Di certo per caparbietà. Poi anche l’ultima parvenza di luce si era spenta. La Luna. Le Stelle. Tutto. Perduto. E lui lì, immobile, ad ascoltare il proprio respiro.

Lui era un’ombra che si mimetizza dentro se stessa, un’ombra nella notte. Nulla avrebbe potuto cambiare questo, nemmeno la Notte stessa. Era l’ombra proiettata dalla Luna, o da un qualsiasi lampione sul marciapiede oleoso. E quando tutto intorno si era spento … beh … allora la sua ombra si era fusa con la terra divenendone parte. Diventando il Tutto, disgregandosi nel Nulla. Eppure era rimasto lì, immobile, ad ascoltare il proprio respiro. E il tempo era passato. Non importa quanto. Forse non importa nemmeno perché. Il tempo non ha bisogno di spiegazioni, scivola via come finissimi granelli di sabbia fra le dita. Shadow aveva fatto appena in tempo a balzarne fuori per non esserne sopraffatto.

Pochi sono coloro a cui è dato di trovare riparo fra le pieghe del Tempo.

Rammento ancora Lazzaro quando lo incontrai: duemila anni a girovagare scalzo e senza meta, senza un destino a cui appellarsi. E tutto per quell’attimo di gloria quando, già avvolto nelle bende, ormai maleodorante, fu chiamato a levarsi e ad uscire dal sepolcro. Lui, già pronto al riposo eterno. Lui, defraudato della possibilità di unirsi alla schiera delle anime. Lui, già morto ma di nuovo vivo. Ed ora la Dama con la falce che lo sdegna evitandolo: merce non sua!

Ricordo anche Utanapishtim. Lo incontrai sulla riva del fiume, annoiato nel suo giardino. Gli Dei gli avevano concesso il premio … il Premio, mi disse. Quei dei beffardi che a volte prendevano un uomo e si divertivano per un po’ a giocare con lui al teatrino della vita, innalzandolo al loro livello … prima di precipitarlo nuovamente, solo e sfinito, sulla nuda terra. Ed ora, uno ad uno, quegli Dei erano scomparsi, dimenticati, le loro statue rovesciate a terra e rotte. Utanapishtim è ancora lì e il tempo scorre su di lui che si trascina stanco coltivando fiori che non appassiscono mai. Non può andare altrove. Non può fare altro se non ripetersi.

Ricordi …. Novembre 2009, Tunisia

Da Tunisi al cantiere sono cinque ore di macchina, soste comprese. Ulivi, fichi d’India, Karuf lenti che belano con bambini o vecchi che li sorvegliano. Passiamo città dai nomi arabi che non riesco a memorizzare piene di giovani in movimento. Rovine romane ben conservate. Lungo strada molti piccoli ristoranti – no non per turisti – lì i karuf decapitati o solo sgozzati sono appesi per le zampe posteriori a dissanguare per sgocciolamento prima di essere scuoiati e fatti alla griglia. Ci fermiamo in uno di questi ristorantini per pranzo. “Vi porto a mangiare da un mio amico” dice Kamel, il nostro driver, e la fame si allunga fin verso le tre del pomeriggio! Il pranzo è uno spettacolo. A casa propria ci si fa sempre tanti scrupoli con l’igiene, le posate e i bicchieri perfetti, i piatti con Nelsen Piatti Li Vuol Lavare Lui … poi qui tutto cambia e anche io cambio , o forse non cambio ma do un po’ più spazio ad una parte che comunque è già in me, come in ognuno di noi. Il karuf in questo ristorante è appeso già scuoiato in una specie di vetrina che a me ricorda una voliera per mosche. Scegliamo il pezzo, ce lo taglia l’amico di Kamel con una mannaia, sopra un ceppo di legno intriso di sangue – credo che sia lì che hanno separato definitivamente la sua testa dal resto del corpo dopo averlo sgozzato – e poi tutti pronti per una bella grigliata. Mangiamo seduti ad un tavolino di plastica sbilenco, prendendo con le mani da un unico piatto sia il karuf che il contorno di verdure grigliate e ben condide. E per concludere? Per concludere è stato un buon pranzo. Davvero

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Beijing – Tradizione e modernità

Il contraso tra tradizione e modernità. Un paese ancora chiuso dentro se stesso, dove ancora le strade di notte vengono chiuse e internet è assolutamente controllato – non c’è nemmeno accesso a facebook.

Una città, Beijing, pulita, nonstante l’abitudine assolutamente diffusa di sputare per terra alla grande! Una città sicura, vista la quantità di polizia che si trova in giro, e quanto la gente ne ha paura. Una città dove nel caos più totale ci si riesce a muovere da soli, anche se nessuno parla inglese o conosce la strada per andare dove devi andare.

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Il vento ….

Il vento, ecco, si’, forse il vento lo sa. Quel vento dolce che soffia vagamente pigro e smuove i rami piu’ alti degli alberi. Li fa oscillare cullando le foglie. Ogni tanto una si stacca inebriata da quella continua carezza, concedendosi al suo caldo abbraccio. E lui, come tenero amante, l’accompagna in volo facendola sognare, mostrandole orizzonti sconosciuti, facendola vivere ancora e vivendo con lei. Ecco, il vento, quel vento e’ una delle facce dell’amore. E, dentro quel vento, l’ala che vi si appoggia precisa e schietta. Forte. Si innalza e nell’alto del suo volo ammira distese infinite verdi o azzurre. Finche’ non giunge a trovare una nuova essenza con cui finalmente condividere il gesto. Ed e’ allora, solo allora che trova l’intero conservando e moltiplicando se stessi.

Si’ certo, non posso dimenticare, anche la Luna lo sa, quella Luna che rischiara le Notti in cui tutto sembra vuoto, quel piccolo occhio sorridente in un mondo che si fa scuro. E poi, poi lo scorgi quel suo raggio che attraversa il cielo ad indicarti una Stella, la tua Stella. E prima di capire, anche prima di vedere, gia’ sai che quella e’ la direzione, che quella e’ la strada.

Questo è il mistero: esistono momenti in cui d’improvviso tutto si fa chiaro, e tutto il resto non conta. Forse perche’ Amore ha una Sua voce che segretamente ti parla, non la senti ma ti esplode dentro con fragore immenso. E sarebbe da stolti sottrasi ad essa, distrarsi ed andare altrove. Cosi’ fu per me, e prima di sapere gia’ sapevo. E questa e’ la mia strada, ora e sempre.

Tu sei la mia strada.

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