Shadow – Sparkling Angel

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[Immagine da Weird Tales Magazine]

La nebbia mi avvolge gli stivali. A stento vedo i miei piedi evitare le buche lasciate dal porfido sconnesso. Un piccolo agglomerato di edifici ormai abbandonati. La base ancora in piedi della ciminiera di un cementificio. L’insegna di un locale caduta in pezzi lascia ancora leggere “Sparkling Angel”. Frammento di un passato che ancora cerca di essere presente. La promessa di un finto paradiso al di là della soglia. Sulla porta che non si chiude un riflesso purpureo riecheggia gli occhi di una ballerina di quando il tempo era diverso: paillettes colorate e gambe lunghe. Curve sinuose ad ubriacare gli sprovveduti avventori attratti dalla sua sensualità in vendita. Ora ciò che rimane è una scarpa rossa con tacco dieci, un po’ ammaccata e ricoperta di polvere in un angolo del palco. Della barra della lapdance non rimane che un tubo contorto e anche gli specchi non rimandano più le curve seducenti di ragazzi discinte. I tavolini sono fracassati a terra, le sedie sparse, frammenti di vetro e lampade rotte. I divanetti rosicchiati dai topi, ultimi clienti non paganti di questo rifugio di anime perse. Anche Sam ha smesso di suonare il pianoforte.

La polvere galleggia nell’aria e la rende irrespirabile. Il passato non può sopravvivere. Riattraverso la porta che mi rigetta nell’unico presente che ci è concesso. Fuori l’aria è acida e sa di acciaio. La nebbia che mi entra nei polmoni ha intossicato uomini più forti di me. Non importa. Io sono immune. Sono immune a qualsiasi agente patogeno. Sono immune alla vita stessa. Inevitabilmente. Scivola su di me come acqua su cera. Se non ci fosse il ricordo nemmeno saprei di essere qui. Dovrei farmi ancora ingannare dal bagliore dei cristalli della pazzia? Ne ho visti tanti nella notte, li ho visti brillare negli occhi di lei mentre guardava la Luna. Mi regalò le sue labbra, le sue dita le sento ancora sulla pelle del viso, le sue unghie graffiare la mia schiena. E vedo ancora le sue spalle coperte da quella leggera veste bianca allontanarsi. Era scalza. Non si voltò mai, nessun ultimo sguardo nessun addio. Sparì nella nebbia. L’acqua la inghiottì. Ciò che udii per ultimo fu uno sbattere d’ali, ed era già mattino. Non so se fu un angelo o un cigno levato in volo. La luce del primo mattino aveva già rubato la poesia.

Ripensandoci ora, non ho dimestichezza di ali bianche che mi siano benefiche. Conosco i corvi con cui Odino spia l’umanità, conosco i ciechi fratelli alati della notte, che con i loro strilli trovano la via di casa. Conosco la nera volta del cielo notturno, quando nemmeno le stelle osano mostrarsi, per timore o per rispetto del silenzio. Conosco la lama fredda che è il respiro della Notte, la sua stessa anima. Una lama che ho usato come arma e che muore conficcata dentro di me. Per essere padrone delle proprie armi bisogna conoscerle, bisogna essere almeno una volta morti per esse. Ed io sono morto. E dalle mie ceneri mi sono riformato e sono ritornato a camminare su questa terra violentata. E le mie ossa han preso tante botte. E ho vinto e perso dentro tante lotte.

Forse sono ancora morto e non lo so ammettere. Un morto che cammina e si confonde con questa progenie di Caino. Basterebbe uscire nel Sole e cercare la mia ombra distesa nella canicola. Ma io vivo nel riparo che non ha fratello. Io sono un’ombra che scivola lungo i muri. Avessi un riflesso lo spenderei dentro un vecchio vetro rotto, oppure in una pozzanghera oleosa che rimanda il profilo delle cose tingendole di colori irridescenti e meravigliosi.

 

 

Anime erranti

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[Immagine dal web ]

Attendiamo la notte speranzosi. Riposo per i nostri affanni. In silenzio dismettiamo i panni stanchi del giorno. Lasciamo che il primo sonno ci chiuda le palpebre favorendo l’incoscienza.
Ma è  proprio qui che sorge l’inghippo. Esistono anime erranti a noi invisibili, di certo in combutta con sorella Luna, che vagano rapaci nella notte, pretendendo nutrimento. Dando forma al buio, si chinano su noi dormienti per sottrarci il respiro. E noi, inconsapevoli, lottiamo dando vita ai nostri incubi.
Bene. Io mi ritiro. Non dite che non vi ho avvertiti.
Buonanotte.

Storia e Leggenda del Lanciatore di Coltelli

STORIA E LEGGENDA DEL LANCIATORE DI COLTELLI
Mio nonno li lanciava sempre spalle al bersaglio,
senza voltarsi mai, senza il minimo sbaglio:
e io stavo a guardarlo innamorato perso sulla riva del fiume,
seguendo i suoi coltelli volare leggeri come piume…
E mio padre m’insegnò a lanciarli ad occhi chiusi,
perché si mira con il cuore,
perché un vero lanciatore di coltelli ricama la vita,
non tira mica per colpire;
e mio padre m’insegnò che i venti cambiano sempre
e ti imbrogliano le dita e non c’è memoria dei tiri precedenti
perché ogni volta è una scommessa infinita.
E volavano su nel cielo lungo invisibili fili d’oro
i coltelli di mio padre e di mio nonno,
ogni tiro era un capolavoro,
ogni lama prendeva una stella,
ogni stella si sparpagliava nel cielo,
e potevi finalmente vederla la vita vederla, vederla davvero…

E così imparai a lanciarli senza essere bravo,
forse per imitarli, o forse perché amavo…
E volavano su nel cielo lungo invisibili fili d’oro:
ma questi erano i “miei” coltelli e lo vedevo che assomigliavo a loro;
e ogni volta ero senza fiato, e ogni volta mi guardavo la mano,
“ma come ho fatto? Ma com’è che è stato?
Com’è che vanno così lontano?”

E volavano su nel cielo come ricordi, come paure,
queste piccole cose di uomo che sono ritorni, che sono avventure
e anch’io ogni tanto prendevo una stella,
e illuminavo uno sputo di cielo e potevo finalmente
vederla la vita vederla, vederla davvero!

All’alba raccoglievo i coltelli di mio padre e di mio nonno;
e loro non mi dissero mai che viaggiavano dentro un sogno;
che finito il momento magico del suo coltello in volo,
il lanciatore è solo.

Ali di PieTra

sleepingsunssss

Se avessi ali di pietra, il mio volo mi porterebbe in un sogno lungo le cui strade si ammassano statue di eroi caduti e dimenticati.
Nubi viola graverebbero sulla terra appese ad un cielo grigio liscio come madreperla dai riflessi oleosi e cangianti.
Il vento poi porterebbe eco lontane di corvi, occhi sulla Terra di un antico dio orgoglioso ed egoista, ultimo abitante spaesato di un Valhöll ormai lontano.
Se avessi ali di pietra anche io mi aggirerei silente, pietra fra le pietre, e dal particolare di un volto o da un gesto spezzato riconoscerei amici perduti o rivali persi nell’oblio di un tempo che si disgrega.
Pochi siamo rimasti a testimonianza del tempo glorioso in cui la mano distesa plasmava una realtà ancora giovane dandole forma. Ora i pochi che restano tacciono impotenti intrappolati ognuno in un sogno diverso.

Circonvoluzioni pensierose

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[Owls page]

Notte. Occhi aperti. Il buio mi guarda. Ed io guardo il buio. Quasi come davanti allo specchio la mattina presto. Entrambi in silenzio. Esteriormente. Ma questa è l’ora in cui la mente si riempie di eco fastidiose di pensieri già pensati. Mi rigiro inutilmente cercando di non far rumore. E loro, questi ospiti invadenti, li ritrovo ancora lì. Il loro rumore mi tiene sveglio. Il loro vorticare nel mio cervello li deforma. Sembrano aumentare. Sono oblunghi ora hanno meandri assurdi in cui posso perdermi.
Non so voi, ma io aspetto l’alba … forse dormirò.
Buonanotte.