Angola – Luanda – March 2015

01

Luanda è un’altra città molto Africana. Le poche strade asfaltate si diramano in traverse disastrate e senza luce, si aprono in improvvise voragini che inghiottono fango, sporcizia. Ho visto un camion sprofondato con tutte le ruote posteriori. Edifici fatiscenti si alternano a edifici un po’ meno fatiscenti. La parte bella e moderna è il lungo mare, quello nuovo. In alcune costruzioni aleggiano ancora reminiscenze di un passato coloniale portoghese. Villette decenti e condomini disfatti raggruppati in blocchi africanamente omogenei.
Ragazzi appollaiati su vecchi pick-up che vendono di tutto. Quelli che si occupano di arredamento hanno anche il catalogo.
L’aria è calda e umida. Sorge da pozzanghere terrose. E’ aria già respirata, carica di odori pesanti. Sudore di persone sdraiate per terra, verdure che si disfano al sole da troppi giorni, donne agli angoli delle case che cucinano vendendo a chi non può farlo –banane fritte, carne filacciosa, pesce che ormai ha perso da tempo memoria dell’acqua, arachidi abbrustolite–.

02

Ogni gente, ogni colore di pelle, ogni Terra ha il suo odore. Entrare in ascensore in hotel è come accovacciarsi dentro l’ascella di un uomo grasso dopo mezz’ora di corsa sul tappeto. Africa subsahariana. Odore di vita vissuta a troppo stretto contatto con l’altro. Odori che si confondono con i rumori di una giungla di traffico lento, dove tutte le strade hanno dimensioni da senso unico, ma non lo sono, e la destra si confonde con la sinistra. Per arrivare alla base scendiamo dalla macchina e proseguiamo a piedi che si fa prima. Camminando incrociamo donne indaffarate e uomini lenti. Mohamed mi dice che qui le donne lavorano e gli uomini oziano per strada. Gli rispondo che siamo in Africa, fanno come i leoni, il maschio sbadiglia e ogni tanto si azzuffa, le femmine fanno il resto. Vedo donne in giro con carichi di tutti i tipi portati in bilico in testa con somma disinvoltura, un bambino fasciato sulla schiena ed uno ancora nella pancia. E’ Terra di filo spinato arrotolato sui muri e guardie private, non per cattiveria, ma per povertà. Niente romanticismo. Nessun “tè nel deserto“. La vita è povertà che sopravanza. Noi siamo nati nella parte giusta del mondo, non scordiamolo. E’ Terra che in giro a piedi da solo non ci si può andare.

03

Dall’altra parte del muro, bambini che cantano in divisa dentro al cortile dell’Istituto di Santa Teresinha. Ma anche un continuo vociare di altri bambini, mezzi nudi, tanti, meno fortunati, per strada, che a stare a casa non sono capaci e non ne vale la pena.
A fine giornata, uscire dall’ufficio e aspettare l’autista che sta pisciando contro il pneumatico della macchina lungo il marciapiede mentre parla al cellulare non ha prezzo! Per il resto c’è MasterCard.

behind the wall

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